Vedete queste tegole? Qui abbiamo costruito un condominio solidale per gli insetti. Sono le tegole del tetto della canonica, della chiesa. Quando una tegola si rompe veniamo qui e ne prendiamo una. Abbiamo voluto disporle così di modo che ci siano tanti spazi nel mezzo quali casette per gli insetti. Durante l’estate essi stanno qui, fanno il loro lavoro, vivono serenamente qui. Tale luogo serve ad essi e serve a noi esseri umani. Forse a voi sembrerà buffo, ma questo è un luogo importante per la fattoria, per l’Orto, per contemplare, meditare e apprendere. Qui si portano le cose puzzolenti, marce, l’umido della cucina, le erbacce, qualche concio che si trova di qua e di là. Le cose non vengono buttate alla rinfusa in un angolo, qui è un salottino! Tutto viene preparato per bene! La concimaia viene custodita con cura. Si fa uno strato di foglie, uno di concio, ancora uno strato di foglie e poi il composto viene lasciato a riposo, come un dolce squisito. La Natura compie un miracolo, come avviene, fino in fondo, nemmeno i biologi lo sanno. La robaccia che è stata depositata qui dopo un po’, attraverso il lavorio di un esercito di microorganismi, di insetti, animaletti, batteri, da pula diventa terriccio fertile. Le pule sono diverse e si trasformano in terricci fertili diversi. Qui c’è la pula del legno, cose legnose artefatte, più dure o meno dure, segatura. Questo tipo di pula richiede un po’ più di tempo per maturare, all’incirca due anni e, poi, diventa un compost di legno che serve per coltivare i lamponi e non certo per i pomodori! Si lascia a riposo, se è troppo asciutto si versa un po’ d’acqua e se piove troppo si copre con un telo. Il compost va curato, seguito e non va abbandonato a se stesso. Dopo sei mesi si può raccogliere il terriccio ormai maturo e con le carriole lo si porta dove serve. Rimane sempre qualcosa che non si è trasformato in terriccio buono, che non ha fatto il processo per bene, che rimane un po’ acerbo. Tranquillamente si raccoglie e si deposita sul mucchio accanto, gli si dà un’altra opportunità, gli si concede un altro giro, un altro po’ di tempo e si trasformerà in terriccio buono più in là. Ci si affida al tempo, alla Natura. Si osservi: vi si trovano tante formiche, qualche bobino che mangia i numerosi lombrichi. Li si sposta nell’altro mucchio. si veda ci sono due formicai: uno di formiche rosse e uno di formiche nere. Non si voleva sciupare questa comunità di formiche. Si è formato un mucchio e faranno la loro “Vita” lì e aiuteranno a fare il lavoro: da pula a terriccio. Questo accade sul piano biologico. Ora trasferiamo questo processo nella nostra “Vita” umana. Qualcosa di quel genere possiamo fare anche noi! Io penso che l’incontro contemplativo, meditante con la Natura, ha un potere trasformante per l’essere umano. Se la Natura compie tutto ciò, anche noi che siamo Natura, contemplando, meditando possiamo imparare qualcosa, ossia come poter trasformare la pula della propria esistenza in nutrimento efficace per la propria “Vita”, come le situazioni tragiche, il dolore, la sofferenza, una perdita, un lutto, un abbandono, un tradimento, una ferita può essere un qualcosa che dà coraggio di vivere, che nutre positivamente la “Vita”, che infonde speranza, che fa onore alla propria “Vita”. Ci si mette affianco a qualcuno che lo sa fare (relazioni nutrienti). Il primo passo è di sopravvivere alla crisi, alla situazione tragica, al dolore, alla sofferenza, ma, dopo, occorre ruminare bene per poter digerire, perché le negatività diventino terriccio fertilizzante, fecondo. Il secondo passo è giungere a nutrire la “Vita”. Tante volte in campagna si ha la mania di fare depositi disordinati. Facendo un po’ di ordine, creando armonia tutto concorre alla Bellezza globale. Esiste un luogo specifico dove portare il marcio, dove la pula viene custodita, curata, le si dà attenzione e non va buttata alla rinfusa. La pula non si gestisce insieme al cibo del pranzo, ma viene gestita nell’apposito “Eremo della concimaia”. Io sono dispiaciuto perché incontro delle persone che 40 anni fa hanno vissuto una situazione dolorosa e ancora oggi stanno male (zoppicano), perché sono semplicemente sopravvissuti, ma non hanno elaborato il loro vissuto. Ad esempio un signore piange perché la fidanzata lo lasciò 30 anni fa. Si ha ancora una chance, un’opportunità di liberarsi sempre più da quel dolore, di digerirlo. Si viene appunto qui all’“Eremo della concimaia” per tradurre la pula in nutrimento vitale, edificante. A me sta a cuore di non buttare la pula a casaccio. La pula non si butta ovunque. Qui ci sono due poltrone in pietra per sedersi, guardare insieme il compost. Fa molto bene nelle amicizie nutrienti, nella relazione di coppia avere un luogo a casa, un eremo della concimaia, ove depositare la propria pula, ove è legittimo portare la pula, gestirla, consegnarla e con amore custodirla, affidarla e i due guardano insieme avanti a sé e non si guardano tra sé e sè. La propria pula occorre metterla di fronte a sé, prenderne le distanze, guardarla, riconoscerla in modo da poterla digerire e si apra così un nuovo orizzonte, una nuova possibilità, in modo che diventi nutrimento per la “Vita” di coppia. Anche la pula più difficile si può gestire. Un giorno una signora disse: «Qui sembra ci siano delle tombe, appare tutto molto serio, si percepisce la morte». Infatti l’humus è fatto di morte. Il morire nel compost, tutti gli animaletti, è necessario perché diventi un buon humus. La trasformazione della pula in terriccio fecondo avviene abbondantemente attraverso un lasciar morire. Bisogna lasciar morire, degradare le cose che non stanno più in piedi oggi, perché si trasformino. Che cosa sta accadendo qui e ora? Si lasci cadere quella cosa, la si lasci andare, le si dia anche un calcio magari per farla cadere più in fretta. Nietzsche diceva: «Non reggere le cose che cadono già da sé». Secondo me non ha torto. La verità se è pura sta in piedi da sé. Ciò che sta cadendo con tutti gli sforzi che si fanno lo si lasci, lo si abbandoni qui. Forse è l’ora di farla morire, è finito ormai il suo corso (ciclo). Noi abbiamo le idealizzazioni. Ad esempio la fidanzata non è così, non è colà, non è più bella. È solo la mia immagine idealizzata che va abbandonata in quanto è una persona concreta, qui e ora, e non è un sogno, l’idealizzazione nella mia mente. A volte occorre lasciar andare l’idealizzazione (il sogno) per vedere la realtà così come è, e abbracciarla in toto, in pieno. Nel mio lavoro ho incontrato dei genitori che hanno figli disabili e che avevano il sogno (l’idealizzazione) di avere un bambino perfetto. Dopo hanno imparato ad accettarlo così come è, lo abbracciano e sprigionano un amore enorme, un’enorme autenticità, verità della “Vita”. Ciò è meraviglioso! Il sogno di avere un bambino perfetto deve decadere, morire, ma solo il tempo, la dolcezza amorevole permette di lasciarlo andare.
Wolfgang Fasser
www.wolfgangfasser.ch
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