La chiamata

Un vestitino prezioso e caro 
due piedini curiosi, due occhietti furbi
e due manine meravigliate di tutto intorno
accade a volte… qualcuno sente un richiamo
«Devo andare.»
La voce chiede ascolto e qualcuno sceglie di ascoltare e và.
Dove? Non sa. Perché? Non sa…
qualcosa muove dentro e qualcuno sceglie
di lasciarsi muovere verso qualcosa. Con chi?
Lo sa, la strada è unica per ciascuno.
Un fagottino di cose preziose, un bastoncino che rende agevole il cammino
guida silenziosa dell’incedere verso…
qualcuno capirà, ciascuno capirà.

Hillmann e la teoria della ghianda

Tutti, presto o tardi abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada… un bisogno pressante e improvviso, una fascinazione, un curioso insieme di circostanze, ci ha colpiti con la forza di un’annunciazione:
‘Ecco quello che devo fare, ecco quello che devo avere. Ecco chi sono. …Esiste un motivo per cui la mia persona, che è unica e irripetibile, è al mondo… la sensazione che il mondo, in qualche modo, vuole che io esista, la sensazione che ciascuno è responsabile di fronte a un’immagine innata, i cui contorni va riempiendo nella propria biografia.
…Siamo stati derubati della nostra vera biografia, il destino iscritto nella ghianda… entriamo in analisi per riappropriarcene. Ma l’immagine innata non si potrà ritrovare, finché non disporremo di una teoria psicologica che attribuisca realtà psichica primaria alla chiamata del destino… l’opera di rimozione non riguarda il passato, bensì la ghianda e gli errori che in passato abbiamo compiuto nel rapportarci ad essa. …la teoria della ghianda ‘l’idea cioè che ciascuna persona sia portatrice di una unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta.

James Hillman 1997

Cercando le radici

«Le cose vere, mi interessano cose vere …» così diceva la mamma a 78 anni. Evidentemente avevo recepito altrimenti il suo messaggio molto tempo prima; io cercavo la verità dentro di me intanto… «se non ti sposi presto, non ti sposi più…» diceva invece la nonna quando ormai eravamo fissi in città… Ma io dovevo fare la mia vita non la sua. Condotta dalla tradizione a non vedere, ma nemmeno a desiderare la sua verità, la nonna era compiaciuta di vivere nella falsità di ogni genere, bella e affascinante forse, ma solo esteriormente; nella sua vita comoda, grazie al lavoro altrui più che al proprio, era incapace la nonna di affrontare la verità, solo di confonderla, annebbiarla, negandola infine a chi ne aveva bisogno per crescere. ‘Io voglio stare tranquilla’ diceva dopo avermi confessato che sua madre era morta in circostanze incerte: si era suicidata o l’avevano uccisa? «Come fai a stare tranquilla con un dubbio così? Dimmi che non me lo vuoi dire piuttosto!» La passività della sua famiglia di fronte a eventi che, per modesta e adolescente visione, dovevano essere indagati in modo determinato e non sbrigativamente liquidati, la contagia nel tempo, lasciandola rassegnata a non sapere nulla e a non poter oltrepassare il muro di omertà che il clan erigeva. Ma lei comunque non stava scegliendo di stare tranquilla pur prendendo in giro anche se stessa, assumendo i tratti famigliari, la sua indole emergeva a volte. Studiava e cercava, mentre la mamma lavorava fuori casa, per incrementare le entrate famigliari e non aveva il tempo di indagare, lei portava avanti la sua stessa scelta per le cose vere. «Così scrivono sui libri cara nonna! Dove trovo io invece il materiale su cui imbastire qualcosa?» Come doveva essere la normale vita di una ragazzina in crescita con le sue esperienze di vita? Le narrazioni dei nonni, dei loro antenati, la loro visione del mondo e il loro affacciarsi alla vita, dove erano? «Chi sono? Da dove vengo?» sembrava chiedersi Elena; ma non comprendeva di chiedere troppo alla sua famiglia, di essere troppo esigente. Giustamente e legittimamente curiosa del mondo che la ospitava e di tutto ciò che le ruotava intorno, le risposte non arrivavano.
La cerchia dei parenti, rappresentata da due culture agli antipodi di un paese già diviso tra il passato magico-superstizioso e il futuro industriale, non dava risposte. Figli di una generazione di transizione tra povertà e progresso, con la perdita dei valori precedenti, i genitori non trovavano molto altro su cui basarsi per il futuro a venire, ma un mondo moderno alla deriva, vissuto con quell’incomunicabilità e misto di emotività esplosiva e indifferente freddezza. Pertanto, invece di pensare all’immediato futuro, si mise alla ricerca del passato, le radici personali, emotive, i sentimenti, le ragioni per cui era nata in una famiglia in cui si sentiva estranea. Ma, come detto, il materiale era scarso, le parole mozze, i sentimenti taciuti, i desideri non espressi, i parenti morti uno dopo l’altro ‘per un brutto male’, quando ancora era piccola. Il nulla avanzava invece, mentre lei cresceva senza radici cui legarsi, come un albero senza ancoraggio a quel terreno accidentato che era; una pianta che non poteva crescere né dare i suoi frutti, perché non vedeva quelli della sua famiglia generatrice o degli antenati. Tutto ciò che emergeva erano le vampate passionali, le esplosioni di gelosia, le grida di due sposi frustrati, come i lunghi tormentanti silenzi, tanto minacciosi come un vulcano in attesa di esplodere. La piccola si caricava del peso di tali emozioni, senza potervi dare un vero nome, un significato, perché ogni cosa era subita e i silenzi troppo rumorosi per lasciare trapelare una voce coerente che significasse la situazione. Che fare? Tutto quel materiale che si presentava come un’energia indifferenziata da ricollocare in ordine per bene, era molto confuso e intricato; restavano immagini, emozioni ben scritte nel corpo, sensazioni da decodificare, domande, interrogativi scomodi per la capacità, nemmeno voluta, di suscitare ritrosia, se non sensi di colpa che zittivano gli interrogati. La razionalità tentava di sistemare tutto, per poter leggere in una sequenza comprensibile gli eventi al momento indecifrabili. 
«Ma tu cosa pensi di essere così solare e trasparente?» Le ricordava la nonna. Ma lei, non trovando personaggi reali su cui investire speranze di trovare una traccia su cui investigare, si immergeva nel mondo delle parole scritte dei libri che trovava in casa grazie a sua madre, fervente lettrice nonostante tutto. Era incuriosita da quei testi, pur non propri per la sua età, ma interessanti per chi cercava… perciò riportava fedelmente sul suo diario quelle parole che sentiva significative, per riflettervi e meditare e tentare di illuminare il buio intorno alle sensazioni o sentimenti che provava, riconoscendosi un po’ nelle altrui vicissitudini e arrivare per similitudine a qualche spiegazione che non sapeva darsi, né trovare altrove. Dunque occorreva essere autentici, pur esprimendo i propri dubbi; occorreva conoscere se stessi e gli altri; far ordine nel magma di sentimenti, emozioni, sensazioni ereditate dalla famiglia, darvi un nome, trovarne le radici, individuarne la direzione, mettere ogni cosa nel cassetto, possibilmente quello giusto, per poi ritrovare le cose riposte, quando necessario e continuare la costruzione della verità così ben nascosta, perché la gente vede i punti deboli altrui e ne approfitta. La società ai suoi occhi appariva più intenta a costruire ostacoli, a nascondere le cose vere, invece di essere una scuola di vita; innumerevoli erano gli esempi di inaffidabilità e mancanza di nitidezza nelle direzioni prese dalla società, non c’era da stare tranquilli…
Cosa portano via ai bambini? 
«Un giorno ritrovai una foto che mi ritraeva da piccola a 4 anni; mi sorpresi, non credevo di essere io, non mi riconoscevo! Io mi ricordavo solo come ero più da grandicella ormai: antipatica, funerea, sconnessa, coacervo di desideri e paure insieme, chiusa nel rifiuto. Non vedevo certo quella bimbetta simpatica, quel musetto furbo e deciso, quella postura così ferma e fiera, orgogliosa del suo bel vestitino e del fratellino. No, non ricordavo questo. A quella stessa età, come mi raccontarono, ero in campagna, feci su un fagottino di cose preziose (per me) e, con un bacchetto in mano, me ne andai giù per il sentiero verso il bosco; la cosa venne spiegata dagli adulti come fuga da casa o l’aver lasciato la mamma, senza dirle nulla! Per un bel po’ sentii con me quell’immagine, quell’atmosfera, quell’espressione, quella simpatia, quel sorriso che mi pareva di rivolgere a chi incontravo per la strada; mi sentivo come quella bambina, orgogliosa e fiera.»

A. P. d. G. 2020 Estratto

Verità e Bellezza

Il Qi Gong tra le discipline psico-corporee  – L’integrazione del sé’ 

2012 Estratto Tesi formazione Qi Gong

…Neumann richiama anch’egli, in altri termini, l’importanza di un sapere di natura psicologica indispensabile per riconoscere in noi quegli archetipi che ritornano sotto forma di sogni o immagini fantastiche e che ci parlano di noi, delle nostre paure e fantasmi ma anche dei nostri desideri e inclinazioni e causa del nostro modo di relazionarci a noi stessi e agli altri; tutto per condurci all’evoluzione della nostra coscienza…
La malattia considerata come una “chiamata degli dei” secondo le parole di Hillman può darci l’energia giusta per affrontarla; gli dei/archetipi che albergano in noi e di cui possiamo divenire consapevoli e tali da suggerirci ancora qualcosa sulla nostra individualità più autentica e sul lavoro che dobbiamo fare per migliorare la nostra condizione, sono nostri alleati, parti di noi sconosciute, dei che abbiamo scordato di onorare.
Nuovi approcci alla malattia fioriscono: la Nuova Medicina di Hamer con le 5 leggi biologiche già rimanda alla persona e alla sua reattività, lo sviluppo della malattia come il suo stesso percorso inverso, la guarigione. L’omeopatia spinge in un percorso a ritroso considerando la malattia sintomo di altri minori che sono solo l’avviso che l’anima è sofferente di motivazioni che non vogliamo vedere. Il testo Malattia e destino di Thorwald Dethlefsen è sulla stessa linea insieme al suo approccio alla salute con la psicologia esoterica: “Solo la conoscenza della propria origine prima consente all’uomo di riconoscere il proprio fine; il fine è la perfezione, la perfezione è l’espressione dell’unità, questa unità noi la chiamiamo Dio”.
In questo tipo di medicina l’individuo è responsabile della propria salute, ma anche libero di disporne, non delega più il medico o la medicina, ma è protagonista del proprio cambiamento; un concetto questo che evidentemente è contrario allo schema economico/culturale della nostra società.
Hillman dice: smascheriamo la mentalità della vittima poiché, finché consideriamo la nostra vita come frutto dei nostri cromosomi o dei vissuti infantili familiari e sociali, la nostra storia sarà quella di una vittima.
… Molti praticanti di varie religioni pensano che i cambiamenti positivi nella loro vita avvengano per cause esteriori (Dio), non che derivino dal proprio impegno. La scuola dà informazioni, ma non educa… La gente ha bassa capacità di attenzione e concentrazione che è il punto da cui poter iniziare. Invece di cercare le cause fuori di noi, diamo per certo che tutti abbiamo emozioni distruttive e chiediamoci quale sia la loro natura. (Dalai Lama 2007)
…ciò che può dare inizio al percorso può essere il mero desiderio di conoscenza della verità, di qualcosa di semplicemente più autentico per noi cioè vitale, significativo e significante, una semplice spinta evolutiva nel percorso di perfezionamento di sé che da sempre occupa l’animo del genere umano.
Una inaspettata presa di coscienza che risveglia a nuovi assunti prima latenti e che ora rivelano la realtà sotto una nuova luce, ancora ci spinge ad andare oltre il conosciuto… Per poter comprendere gli eventi fuori e dentro di noi abbiamo avuto bisogno di analizzare ogni singolo aspetto della realtà; ma se scendiamo a livello percettivo, la modalità di ragionamento sintetico conduce a cogliere l’unità che ci contiene e viverne l’armonia e la bellezza. Il flusso della vita se accettato ci conduce verso la coscienza, verso l’evoluzione incontro all’unità del tutto di cui facciamo parte, spesso senza avvedercene. Lo sviluppo umano prosegue in uno sviluppo abnorme del momento razionale, svilendo il momento percettivo, irrazionale, casuale, caotico. Ma la vita autentica si fonda sull’unione non sulla separazione e il nichilismo odierno ne testimonia le nefaste conseguenze.
Accettare la frustrazione narcisistica che la direzione intrapresa può non essere quella funzionale alla vita (autentica e creativa) è il punto di partenza per intraprendere un viaggio e riscoprire la antica, ancestrale unità con un coscienza ormai molto più profonda e più vicina all’essenza del reale.                                                                                                                                                                        A. P. d. G.

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